duminică, februarie 22, 2009

Homo videns

(Ecco il testo dell'intervento che ho fatto durante la conferenza stampa PIR di ieri, 21 febbraio, il titolo del posto è quello del libro di Giovanni Sartori. Un titolo che non ha bisogno di spiegazioni, tornerò a scriere del libro in un secondo momento..)

“Di solito il mio posto, come giornalista, durante un evento del genere è lì, in mezzo a voi. Il fatto che io stia qui, dietro ai microfoni, è dovuto ad una semplice circostanza: sono romena.

Ed essere romeno in questi giorni, in Italia, è spesso come portare una stigmate. Noi, romeni, viviamo una situazione paradossale. In uno stato di diritto (dove vige the rule of law), IO cittadino che rispetto le leggi e le regole, mi sento minacciato quando esco fuori di casa, per l’unico motivo che sono romeno”. E come romena, mi sono sentita aggredita più volte in un modo più sottile, quello psicologico, da alcuni titoli di giornale o servizi televisivi. Magari anche di più di alcuni miei connazionali, perché sono tra quelli che hanno consapevolmente questo potere in mano: la comunicazione.

Walter Lippman in un classico saggio sui media diceva che “l’opinione pubblica è costruita dalla percezione, dalle immagini che la gente riceve attraverso i media”. Ecco perché una signora qualunque di una cittadina qualunque arriva a essere convinta che i romeni sono “violentatori”- come dicono in tv, piuttosto che credere nella sua stessa esperienza, fatta di anni insieme alla sua badante romena.

In Italia esistono diversi codici deontologici e “Carte dei doveri” del giornalista che stabiliscono i principi, le regole da rispettare quando si trattano degli episodi con protagonisti stranieri che potrebbero generare un clima di xenofobia. Però la realtà di cronaca non è sempre in concordanza con la realtà statistica.

Ecco perché, subito dopo il delitto Reggiani, ho realizzato un monitoraggio su 5 maggiori testate italiani, analizzando il contenuto di quasi 400 articoli che trattavano il tema dei “romeni”Lo studio è stato pubblicato nel volume “Romania, lavoro e integrazione in Italia”, realizzato dalla Caritas- Migrantes con l’istituto IDOS e che presto sarà tradotto anche in lingua romena. I risultati sono stati sorprendenti. Uno più di tutti: solo nel 30% dei casi viene rispettato il principio di presunzione d’innocenza. Tenendo conto che la presunzione d’innocenza è considerata uno dei pilastri all’interno dei doveri del giornalista, citato in cima nella “Carta dei doveri” e ribadito chiaramente in una risoluzione del Consiglio d’Europa n. 1003, art. 22: “i giornalisti, nelle informazioni fornite e nelle opinioni fondate, sono tenuti al rispetto della presunzione d’innocenza, segnatamente nei casi ancora sub judice, evitando di formulare verdetti”.

Alcuni mi parlerano di diritto- dovere di cronaca e di esporre i fatti. Ma spesso la distinzione netta che dovrebbe essere tra una mera esposizione dei fatti e le opinioni viene trascurata. I giudizi di valore e le generalizzazioni presentati come FATTI creano una pericolosa confusione nel pubblico lettore.

Anche il caso di Elena, romena sequestrata per mesi e violentata dal suo datore di lavoro in Calabria poteva essere presentato nel rispetto del diritto di cronaca. Anche quello di Daniel, bambino romeno menato a scuola dai compagni perché romeno, o di Alessandro, cui la mamma vuole cambiare il cognome perché “troppo romeno”. L’esecuzione nel sottopassaggio di Nomentano, quando un romeno venne ucciso con un colpo di pistola alla testa, dopo essere fatto inginocchiare. Si è parlato di un conflitto tra bande criminali, ma poi non si è è più saputo se i colpevoli siano stati presi.

Come conclusione, l’immagine dei romeni, gravemente compromessa oggi in Italia- caso singolare in Europa- non può essere considerata un prodotto commerciale da “vendere” all’interno dello spazio pubblicitario di una televisione. Credo profondamente che il dialogo e la reciproca conoscenza siano la soluzione, e non le accuse reciproche e le guerre di parole.

- L’istituzione di un fondo da destinare allo sviluppo di programmi di integrazione attraverso l’informazione, per esempio da dedicare una somma in euro pro capite

- Promuovere incontri specifici tra giornalist romeni (soprattutto i corrispondenti in Italia) e i colleghi italiani

- Destinare uno spazio dedicato sulle reti RAI per la comunità romena, realizzato da o con giornalisti romeni, come accade per le minoranze etniche in Romania

- L’istituzione di un organo permanente di monitoraggio sull’immagine degli immigrati

- La firma di un patto di corettezza da parte di quelli che operano l’informazione

Alla fine, vorrei ringraziare tanti miei colleghi italiani con cui ho stabilito un ‘ottimo rapporto e che si sono avvicinati con un interesse particolare alla comunità romena: Fabrizio Gatti, che ha girato l’Europa fingendosi un romeno senza tetto, Leo Sisti, Pier Damiano d’Agata, l’instancabile Daniela Mogavero, Flavia Amabile, Gabriella Lepre, Elsa di Gati e Anna Palombini… e la lista può continuare.



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