joi, februarie 26, 2009

"Razzisti con i romeni?" lettera aperta a Enzo Bettiza- La Stampa

Carissimo collega Enzo Bettiza,

ho letto con grande interesse il suo laborioso editoriale del 25 febbraio, intitolato "Razzisti con i romeni?". Alla sua domanda, un pò provocatoria, ha provato a rispondere, portando argomenti storici e culturali e spiegazioni più o meno statistiche. Lei dichiara di sentirsi addirittura offeso dall'accusa di "romenofobia" che un politico romeno (ahimè, anche lui in cerca di consensi e capitale elettorale), ha avanzato verso l'Italia.

Sì, la ringrazio in nome dei miei connazionali per aver citato alcuni degli scrittori romeni riconosciuti e apprezzati in Francia, come Ionescu, Eliade o Cioran. Qui, in Italia forse non vale la pena citarli senza aggiungere una nota con un asterisco con scritto "scrittori romeni"; prima si dovrebbe far conoscere meglio Dante e Shakespeare, e mi viene da chiedere se non sia proprio questo il motivo per il quale Cioran e Ionescu abbiano trovato terreno fertile e accogliente proprio nelle terre galliche invece che quelle romane.

Eppure, dietro l'esibizione delle sue doti dialettiche e culturali e pacifiste si nasconde proprio quello che lei cerca di combattere: un po’ di "romenofobia". Che, tradotto, significherebbe non razzismo, ma pura e semplice "paura del romeno".

Ecco le sue parole: "...la più perniciosa piaga immigratoria di cui da un paio d’anni soffre l’Italia, dimostra per se stesso che né i governanti italiani né tanto meno quelli romeni possono più ignorare un problema divenuto ossessivo e, per tanti aspetti, spaventoso: lo stillicidio ininterrotto di crimini con stupro e ferocia spesso mortale perpetrati da cittadini romeni, crimini che, dopo lo scempio della signora Reggiani, sono purtroppo continuati senza esclusione di colpi e di scelta: coppie di fidanzati inermi, ragazze quattordicenni, ottuagenarie disabili".

Caro Enzo Bettiza, queste parole tutte ammassate lì, in poche righe: "piaga immigratoria", "soffre", "problema ossessivo", "spaventoso", "crimini ininterrotti con stupro e ferocia mortale", alle orecchie di uno psicologo manco troppo bravo sembrerebbero i sintomi di una FOBIA. Una Romenofobia, appunto.

Poi lei descrive quegli orribili delitti, di violenza, che tutti condanniamo, come esseri umani di là della razza o la cultura. E parlando di atrocità mi viene in mente il corpicino martoriato di un bimbo di quattro anni, e la sua madre, che la Corte ha giudicato colpevole di un delitto più cruente di tutti, infanticidio. Ripeto i GIUDICI, la Corte. Eppure quella madre, che dovrebbe essere chiamata assassina perché c'è una corte che ha emesso un verdetto, è stata invitata in televisione tante volte, per convincere l'italiano medio, l'Homo videns, con le sue lacrime, della sua innocenza.

Noi, giornalisti, quando si tratta di romeni- no. Noi abbiamo decretato la colpevolezza a prescindere, senza aspettare nemmeno che il giudice si mettesse la toga.

Anch’io mi chiedo, come lei, perché la Francia abbia espulso più romeni giudicati colpevoli dell’Italia. Fatto sta, fino alla prova contraria, che la Romania abbia accolto tutti quelli mandati dalla Francia, e tutti quelli mandati dall'Italia. Peccato che l'Italia abbia mandato meno di 100, in questa che sembra una gara tra paesi con diritti e doveri comuni. Paesi dell'Ue, appunto.

Caro Enzo, lei ha ragione quando ricorda quegli anni quando i nostri due paesi si trovavano ai confini uno del bene, l'altro del male, ognuno all'inizio di un suo cammino storico. Ma si potrebbe scoprire che non siamo poi così diversi. Come romena, spero di non arrivare a vivere i tempi delle sofferenze subite dagli italiani negli Stati Uniti, dove alla fine del '800 e l'inizio del '900 erano considerati un popolo di "violentatori e criminali" (per citare dall'ormai classico Marzio Barbagli) e dove avvenne il più spaventoso linciaggio di massa della storia americana: nove siciliani innocenti uccisi a New Orleans perché accusati di aver ammazzato un poliziotto americano. Di nuovo, peccato che il giudice abbia stabilito solo dopo la loro innocenza.

E perché lei cita, in un intero paragrafo, del e cifre, quelle della delinquenza romena, ecco solo un dato: in Italia non sono 10000 i delinquenti, come lei lascia intendere. Nelle carceri ne troviamo circa 2700, dei quali quasi mille condannati in via definitiva (fonte- Ministero della giustizia romeno). Su una popolazione di quasi un milione e 200 mila uomini e donne residenti, siamo allo 0,28%, molto di sotto ad altre comunità. Già, ma questo non fa notizia. E mi chiedo come mai si può (ancora) affermare, in uno spazio europeo libero, che il 40% dei latitanti romeni sia proprio in Italia? Se io fossi un latitante romeno, a quest'ora sarei già in Germania, perché mi cercano qui. E mi chiedo, come cittadina europea con pieni diritti e doveri: perché lo Stato che mi ospita fa così poco per combattere i criminali, quelli veri, che magari dirigono i grandi traffici di qualunque razza, religione o etnia?

E finalmente concordo con lei, caro collega: magari solo diventando cittadini europei con pieni diritti, senza frustrazioni storiche o sociali, potremmo combattere e vincere con serenità le nostre fobie.

duminică, februarie 22, 2009


Conferenza stampa PIR
Roma
21 febbraio 2009

Homo videns

(Ecco il testo dell'intervento che ho fatto durante la conferenza stampa PIR di ieri, 21 febbraio, il titolo del posto è quello del libro di Giovanni Sartori. Un titolo che non ha bisogno di spiegazioni, tornerò a scriere del libro in un secondo momento..)

“Di solito il mio posto, come giornalista, durante un evento del genere è lì, in mezzo a voi. Il fatto che io stia qui, dietro ai microfoni, è dovuto ad una semplice circostanza: sono romena.

Ed essere romeno in questi giorni, in Italia, è spesso come portare una stigmate. Noi, romeni, viviamo una situazione paradossale. In uno stato di diritto (dove vige the rule of law), IO cittadino che rispetto le leggi e le regole, mi sento minacciato quando esco fuori di casa, per l’unico motivo che sono romeno”. E come romena, mi sono sentita aggredita più volte in un modo più sottile, quello psicologico, da alcuni titoli di giornale o servizi televisivi. Magari anche di più di alcuni miei connazionali, perché sono tra quelli che hanno consapevolmente questo potere in mano: la comunicazione.

Walter Lippman in un classico saggio sui media diceva che “l’opinione pubblica è costruita dalla percezione, dalle immagini che la gente riceve attraverso i media”. Ecco perché una signora qualunque di una cittadina qualunque arriva a essere convinta che i romeni sono “violentatori”- come dicono in tv, piuttosto che credere nella sua stessa esperienza, fatta di anni insieme alla sua badante romena.

In Italia esistono diversi codici deontologici e “Carte dei doveri” del giornalista che stabiliscono i principi, le regole da rispettare quando si trattano degli episodi con protagonisti stranieri che potrebbero generare un clima di xenofobia. Però la realtà di cronaca non è sempre in concordanza con la realtà statistica.

Ecco perché, subito dopo il delitto Reggiani, ho realizzato un monitoraggio su 5 maggiori testate italiani, analizzando il contenuto di quasi 400 articoli che trattavano il tema dei “romeni”Lo studio è stato pubblicato nel volume “Romania, lavoro e integrazione in Italia”, realizzato dalla Caritas- Migrantes con l’istituto IDOS e che presto sarà tradotto anche in lingua romena. I risultati sono stati sorprendenti. Uno più di tutti: solo nel 30% dei casi viene rispettato il principio di presunzione d’innocenza. Tenendo conto che la presunzione d’innocenza è considerata uno dei pilastri all’interno dei doveri del giornalista, citato in cima nella “Carta dei doveri” e ribadito chiaramente in una risoluzione del Consiglio d’Europa n. 1003, art. 22: “i giornalisti, nelle informazioni fornite e nelle opinioni fondate, sono tenuti al rispetto della presunzione d’innocenza, segnatamente nei casi ancora sub judice, evitando di formulare verdetti”.

Alcuni mi parlerano di diritto- dovere di cronaca e di esporre i fatti. Ma spesso la distinzione netta che dovrebbe essere tra una mera esposizione dei fatti e le opinioni viene trascurata. I giudizi di valore e le generalizzazioni presentati come FATTI creano una pericolosa confusione nel pubblico lettore.

Anche il caso di Elena, romena sequestrata per mesi e violentata dal suo datore di lavoro in Calabria poteva essere presentato nel rispetto del diritto di cronaca. Anche quello di Daniel, bambino romeno menato a scuola dai compagni perché romeno, o di Alessandro, cui la mamma vuole cambiare il cognome perché “troppo romeno”. L’esecuzione nel sottopassaggio di Nomentano, quando un romeno venne ucciso con un colpo di pistola alla testa, dopo essere fatto inginocchiare. Si è parlato di un conflitto tra bande criminali, ma poi non si è è più saputo se i colpevoli siano stati presi.

Come conclusione, l’immagine dei romeni, gravemente compromessa oggi in Italia- caso singolare in Europa- non può essere considerata un prodotto commerciale da “vendere” all’interno dello spazio pubblicitario di una televisione. Credo profondamente che il dialogo e la reciproca conoscenza siano la soluzione, e non le accuse reciproche e le guerre di parole.

- L’istituzione di un fondo da destinare allo sviluppo di programmi di integrazione attraverso l’informazione, per esempio da dedicare una somma in euro pro capite

- Promuovere incontri specifici tra giornalist romeni (soprattutto i corrispondenti in Italia) e i colleghi italiani

- Destinare uno spazio dedicato sulle reti RAI per la comunità romena, realizzato da o con giornalisti romeni, come accade per le minoranze etniche in Romania

- L’istituzione di un organo permanente di monitoraggio sull’immagine degli immigrati

- La firma di un patto di corettezza da parte di quelli che operano l’informazione

Alla fine, vorrei ringraziare tanti miei colleghi italiani con cui ho stabilito un ‘ottimo rapporto e che si sono avvicinati con un interesse particolare alla comunità romena: Fabrizio Gatti, che ha girato l’Europa fingendosi un romeno senza tetto, Leo Sisti, Pier Damiano d’Agata, l’instancabile Daniela Mogavero, Flavia Amabile, Gabriella Lepre, Elsa di Gati e Anna Palombini… e la lista può continuare.



joi, februarie 19, 2009

"E' finita l'America"

Oggi mi sono calata completamente nel ruolo di mamma e ho dedicato quasi tutta la giornata alle mie bimbe (almeno ci ho provato!).

La mattina, il programma prevedeva andare alla ASL ( una asl qualunque della periferia romana), per fare il vaccino alla piccola. Proprio mentre mi affretto verso l'ambulatorio (eh sì, sono sempre in ritardo), mi chiama un'amica dalla Romania, chiedendomi, preoccupata, come vivo a Roma in questi giorni. "tranquilla, non ho avuto problemi di nessun tipo", rispondo- "anzi, ho avuto modo di rendermi conto che tanti italiani sono dalla nostra parte, dei romeni onesti e in.. con questa campagnia ant-romeni". La mia amica, incredula, mi dice: "mah, magari tu non ci vivi in mezzo alla gente "normale", tu con i tuoi intelletuali, beata te".

E arrivo alla Asl, e mentre preparo la bimba ( e già sono in ansia per le due punturine!), mi sento dire dalla dottoressa: "Ma lei non è italiana". Rispondo di no, senza dare troppo importanza alla domanda. Ma lei insiste: "E di che paese è?". "Sono romena", rispondo, pensando a quante volte mi sono sentita fare questa domanda ultimamente. E mi concentro sulla piccola, che già si comincia a innervosire.... FATTO!.. meno male, penso.

"Signora, ma lei torna in Romania?" La guardo per la prima volta con attenzione, cercando di capire che c'entra col vaccino. Mi passa per la testa che forse mi deve darer un libretto con le vaccinazioni per l'estero.. Ma lei continua, come per darmi una spiegazione: "Sa, tante romene che vengono qui tornano al loro paese, tantissime se ne tornano, chi sa perchè.." dice.

Non ho voglia di parlare, voglio calmare la piccolina che comincia a piangere.."Bè, io so benissimo perchè.. "rispondo senza voler entrare nei particolari. E allora lei -con un certo sguardo e con un tono che solo dopo ho potuto interpretare, dice: "Eh sì, E' FINITA l'AMERICA!"

La domanda spontanea che mi passa per la testa è : "per chi? davvero, chi ha da guadagnare se rimaniamo e chi ha da perdere se ce ne andiamo?" Ma avevo deciso di non rispondere e non lo faccio. Ignoro la provocazione e chiedo un pò brutalmente quando ho il prossimo appuntamento.

Capitolo secondo: quando il governo italiano combatteva l'emigrazione

"Gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti"

Oggi come allora: “Le misure di polizia non arrestano, bensì deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie”
Con queste parole, nel 1888, Giovanni Battista Scalabrini, fondatore dei missionari scalabriniani, introduce nel dibattito sui problemi dell'emigrazione italiana un aspetto, fino ad allora, quasi ignorato: il valore della persona umana, chiedendo una legge a favore degli emigranti e una istituzione in grado di provvedere «ai loro interessi spirituali e materiali». Il 5 dicembre 1887, l’allora Presidente del Consiglio Francesco Crispi aveva presentato uno speciale disegno di legge sull’emigrazione, ispirato a norme di polizia e con disposizioni che imponevano l’obbligo della licenza per gli agenti di emigrazione, punendo le operazioni clandestine e gli abusi.

Il 3 maggio 1888 la commissione parlamentare presieduta dall’On. De Zerbi, presentava un controprogetto caratterizzato dal principio della libertà di emigrare e di far emigrare. In quest'occasione Scalabrini indirizza una lettera aperta al sottosegretario alle Finanze, Paolo Carcano, intitolata Il disegno di legge sull’emigrazione italiana. Osservazioni e proposte di un vescovo dove scrive: «Fra i due disegni di legge, il ministeriale e quello della Commissione parlamentare, il secondo mi pare di gran lunga migliore del primo. Il ministeriale è più propenso a considerare il grande fenomeno cosmico ed umano della emigrazione come un fatto anormale, piuttosto che un diritto naturale, e lo circonda di tante pastoie che quasi lo confisca. Il disegno ministeriale non tenne conto di una esperienza di non vecchia data, la quale dimostrò alla prova dei fatti che le misure di polizia non arrestano, bensì deviano dai nostri ad altri porti le masse migratorie, rendendo così più doloroso e più dispendioso l’esodo dei nostri connazionali. Gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare, aumentandone e rendendone più rovinoso l'impeto. Il disegno invece della Commissione parlamentare è, a mio giudizio, più pensato, più organico e più liberale, poiché fin dal primo articolo afferma la piena libertà di emigrare, salvo, naturalmente, gli obblighi imposti ai cittadini dalle leggi. É un bel quadro che però ha una macchia nel mezzo: la facoltà che il disegno di legge accorda agli agenti di emigrazione, di fare arruolamenti». E aggiungeva, «l’on. De Zerbi si compiace della larghezza del disegno di legge e dice che, approvata, sarà una delle più liberali d’Europa. Ed io l’ammetto: ma l’importanza di una legge non è tanto di essere liberale, quanto di essere buona, e buona, per me, non è la legge più larga, bensì quella che, basata sulla giustizia, meglio provvede ai bisogni per cui è stata fatta. Ora la legge, accordando il diritto di arruolamento agli agenti, sarà liberale, ma improvvida. Ora, se è doveroso patrocinare la libertà di emigrare, è altrettanto doveroso opporsi alla libertà di far emigrare: è dovere delle classi dirigenti di procurare alle masse dei proletari un utile impiego delle loro forze, di aiutarli a cavarsi dalla miseria, di indirizzarli alla ricerca di un lavoro proficuo, ma è del pari un dovere l'impedire che venga sorpresa la loro buona fede da ingordi speculatori».

E’ probabile che queste considerazioni di un Vescovo sull’emigrazione italiana di fine Ottocento facciano solo sorridere il Ministro degli Interni Maroni che continuerà imperterrito nel suo cammino di guerra “ideologica” all’immigrazione clandestina. Ieri stesso dichiarava in conferenza stampa che “in Italia non c’è una emergenza sicurezza (alcuni mesi fa per vincere le elezioni si affermava il contrario!), che in Italia non c’è una emergenza criminalità organizzata (anche se mafia, camorra e ‘ndrangheta occupano interi territori italiani!), ma che in Italia c’è una sola emergenza ed è quella dell’immigrazione clandestina” contro cui il governo leghista ha dichiarato la sua guerra senza confini (per il momento la si sta conducendo a Lampedusa, lontano dalla Padania). Il ministro Maroni ha così disposto il blocco dei trasferimenti delle persone giunte a Lampedusa verso centri di accoglienza sul territorio nazionale. Ha deciso l’invio sull’isola di due Commissioni per esaminare le domande di asilo. Ha decretato che gli immigrati giunti a Lampedusa saranno espulsi dall’isola stessa e che l’Italia non la vedranno neanche in cartolina. Per attuare questa rigorosa politica poliziesca delle migrazioni, poco importa che migranti e richiedenti asilo siano ammassati (in 1.800) in un CPA (che ne dovrebbe contenere 800), con evidenti conseguenze per le condizioni igienico-sanitarie e rischi per le persone più deboli, tra cui donne, bambini e minori non accompagnati, che – fra l’altro – dovrebbero essere trasferiti in centri specifici per minori. Poco importa, al Ministro Maroni e a quanti credono che l’unica emergenza italiana sia quella dell’immigrazione, che a Lampedusa non ci sia né un tribunale per ricevere un ricorso contro una decisione negativa delle Commissioni dei rifugiati, né uno studio legale in grado di fornire assistenza, negando così ai richiedenti l’asilo la possibilità reale di vedersi accordare lo status. In tale situazione di “presunta emergenza” anche gli altri migranti (giunti nell’isola fuggendo quella morte che miete vittime nel Mediterraneo) rischiano di essere espulsi a seguito di procedure sommarie e senza alcuna possibilità di rivolgersi a un giudice, violando così i principi costituzionali e la Convenzione europea dei diritti umani. In situazione di emergenza – prima temuta, poi annunciata ed ora proclamata a piena voce – tutto è lecito, anche calpestare la dignità di qualche essere umano se alla fine si riesce a “deviare dai nostri ad altri porti (magari in Libia o in Tunisia, paesi riconosciuti nella difesa dei diritti umani!) le masse migratorie, rendendo così più doloroso e più dispendioso il loro esodo”. E’ probabile che molti esulteranno quando il Ministro Maroni annuncerà che a Lampedusa non si vede più neanche un immigrato… e che pochi si chiederanno: ma che fine hanno fatto? Perché come diceva Scalabrini: “gli ostacoli artificiali non trattengono le correnti, ma le fanno rigurgitare, aumentandone e rendendone più rovinoso l'impeto”.
Lorenzo Prencipe, scalabriniano Presidente Centro Studi Emigrazione, Roma

miercuri, februarie 18, 2009

Capitolo primo- Quando gli italiani erano considerati la razza più violenta..

Nove siciliani trucidati il 14 marzo 1891 a New Orleans sono caduti nell´oblio riservato a tutte le vittime dei linciaggi, le stragi compiute in nome della giustizia che punteggiano luttuosamente la vicenda americana. Di quel linciaggio, il più grave nella storia degli Usa, c´è traccia ormai solo nella memoria di qualche studioso e nella stampa dell´epoca, che al massacro diede grande rilievo: sebbene le esecuzioni sommarie fossero all´ordine del giorno, quel caso incrinò seriamente, per la prima volta, i rapporti tra l´Italia e l´America. Una crisi risolta qualche anno dopo con un pugno di dollari. E oggi, che i rigurgiti xenofobi fanno la loro ricomparsa anche in Italia, vale la pena riflettere su un episodio che mostra come, poco più di cento anni fa, proprio i siciliani venissero considerati alla stregua dei romeni o dei nordafricani del nostro tempo, come ricorda Gian Antonio Stella nel suo "L´orda" (Rizzoli), unico contributo recente alla memoria di quella strage.
La storia: http://palermo.repubblica.it/dettaglio/Il-linciaggio-di-nove-siciliani-nella-New-Orleans-del-1891/1396533

joi, februarie 12, 2009

PS Siluan: "Noi nu mai tăcem!"

"Sunt prea multe «mitraliere» pe noi şi prea ne plecăm capul. Nu suntem indiferenţi! Glasul Bisericii va deveni glasul dumneavoastră şi vom spune public că nu acceptăm să fim învinovăţiţi şi culpabilizaţi în bloc. Şi noi ne îndurăm greutăţile noastre, oamenii noştri neplătiţi, suferinţele badantelor, morţii noştri. La una a lor răspundem cu cinci sau zece agresiuni suportate. Am tăcut din omenie. În istoria poporului nostru ne revoltăm o dată la 100 de ani, dar nu vrem populism să ieşim în stradă. Vocea o să ne-o ridicăm, staţi liniştiţi! Să ne îngrijim bolnavii noştri şi îngrijiţi-vă voi bolnavii voştri, plângeţi-vă morţii voştri şi noi pe ai noştri! Noi nu mai tăcem! Mărturisim suferinţele în care se află neamul nostru, în tacere. Deşi facem eforturi maxime, nu suntem răsplătiţi cu nimic! Noi nu acceptăm să fim definiţi prin telejurnal, care ne serveşte mizerii. Un minut de telejurnal nu caracterizează viaţa noastră.

Dacă până acum ne-am manifestat ca şi creştini, ne vom manifesta şi ca români! La ultima Adunare Eparhială am stabilit că vom promova cultura, tradiţile şi obiceiurile româneşti. De asemenea, Departamentul Social va sta la dispoziţie printr-un număr de telefon, un e-mail şi vă rugăm să vă spuneţi necazurile, să le contabilizăm. Ne-am obişnuit să răbdăm. Nu e cazul să strigăm, ci să ştim la cine să ne plângem, celor care le pasă: atât autorităţilor de stat, cât şi celor bisericeşti.

Duminica viitoare, 15 februarie, voi trimite o scrisoare tuturor parohiilor ortodoxe, prin care voi preciza că vrem să fim respectaţi aşa cum respectăm. Scrisoarea o voi trimite şi statului italian, Ambasadei României la Roma, Ambasadei României pe lângă Sfântul Scaun şi Caritas-ului. Vom cere tuturor episcopilor locali să ne susţină şi să ne ajute. Să nu fim catalogaţi după răutăţi!

Nu plecaţi frunţile, nu vă lăsaţi intimidaţi. Numai în faţa lui Dumnezeu să pleacăm frunţile şi să ne rugăm. Procentajul răutăţilor nu depăşeşte procentajul poporului care ne găzduieşte. O să le scriem şi rescriem! Plângerile şi mărturisirile dumneavoastră le vom aduna şi le vom arăta câte probleme avem!

CATANIA, 8 februarie 2009- predica P. S. Siluan episcop al Italiei

luni, februarie 09, 2009

Intalnire cu Dalai Lama

În zece ani trăiţi la Roma, ca român şi ulterior ca jurnalist, am avut parte de momente de suferinţă şi frustrare, de bucurii cotidene şi rutină de metropolă, de agonie şi neîmplinire…

Dar au existat şi acele momente unice pe care le pui la loc de cinste în suflet, momente de trăire şi creştere spirituală, pe care doar un oraş ca Roma, intersecţie de culturi şi religii, ţi le poate oferi. Am scris despre prima vizită a PF Patriarh Teoctist la Roma şi despre Crezul în limba română rostit în Bazilica San Pietro într-o zi ploioasă , am relatat în direct funeraliile Papei Ioan Paul II, în sfârşit, am făcut parte din delegaţia de români care a fost primită în audienţă, în 2007, de către Papa Benedict XVI.

Iar azi, printre zeci de jurnalişti din toate colţurile lumii, am avut ocazia să-l aud vorbind, la câţiva metri de mine, pe Tenzin Gyatso, al paisprezecelea Dalai Lama.

Primăria Romei a hotărât,încă de anul trecut, să-i confere lui Dalai Lama cetăţenia de onoare a oraşului. Liderul spiritual al tibetanilor ar fi trebuit să vină în Italia în luna septembrie pentru ceremonia oficială, dar vizita sa a fost anulată din motive de sănătate. După internarea lui în spital de săptămâna trecută, am crezut că vizita sa la Roma va fi amânată din nou. Dar, din fericire, am primit confirmarea din partea biroului de presă al primăriei: programul va rămâne neschimbat.

Rareori am avut ocazia să văd piaţa Capitoliului, una din cele şapte coline istorice ale capitalei, într-o atmosferă atât de plină de emoţie, dar şi tensiune. În faţa mega-ecranului instalat în centru, erau numeroşi voluntari ai asociaţiilor italiene Pro- Tibet cu pancarte, cerând eliberarea de sub ocupaţia chineză, refugiaţi tibetani înfăşuraţi în steagul naţional, călugări budişti în toga tradiţională.

Sala “Giulio Cesare” rezervată ceremoniilor în primărie, a devenit în câteva minute neîncăpătoare pentru oficialităţi, invitaţi şi jurnaliştii din întreaga lume. Începerea ceremoniei era prevăzută pentru ora 14 locală, dar a fost decalată datorită întâlnirii private dintre oaspete şi primarul Romei.

Dalai Lama şi-a făcut intrarea în aulă, învăluit într-o aură de modestie pe care o au doar acei mari lideri spirituali. Îmbrăcat în eterna sa tunica roşie-portocalie pe care o cunoaştem din filme şi fotografii, cu nelipsiţii ochelari fumurii, pare un bătrân obişnuit, simplu, blând şi cu un zâmbet deschis pe faţă. Are 73 de ani, iar spitalizarea recentă şi-a lăsat semnele: pare mai slăbit, deşi emană o puternică energie pozitivă.

Toţi cei prezenţi se ridică în picioare şi îl salută cu îndelungi aplauze. Se flutură steagul Tibetului şi se strigă, “Free Tibet”. Apoi, un moment de linişte totală, urmat de salutul primarului Romei, Gianni Alemanno: “Oraşul nostru este onorat să vă primească cu emoţie profundă, după o lungă aşteptare. De acum înainte, în această Aulă, care este inima oraşului, Dumneavoastră nu veţi mai fi doar un oaspete prestigios, ci şi un cetăţean al Romei”.

Este un moment istoric: doar cu câteva săptămâni înainte, în decembrie, China a protestat vehement când preşedintele francez Nicolas Sarkozy l-a întâlnit în Polonia pe liderul spiritual al Tibetului. Iar azi, în faţa a zecilor de jurnalişti, primarul Romei a subliniat: “Guvernul nostru afirmă cererea Italiei şi a Uniunii Europene către Republica Populară Chineză, de a redeschide un dialog cu reprezentanţii naţiunii tibetane, pentru a ajunge rapid la acorduri pozitive şi definitive. (…)Prezenţa Dv. în această sală şi vizita la Capitoliu reprezintă revolta noastră morală în faţa nedreptăţii, a violenţei, a opresiunii”.

Apoi, urmează apelul clar către Beijing: “Noi, împreună, vom cere cu putere deplina recunoaştere a autonomiei poporului tibetan”.

După primirea pergamentului cu numirea oficială, Dalai Lama, cel mai nou cetăţean de onoare al Romei, ne-a surprins pe toţi cu vocea lui decisă, dar în acelaşi timp lipsită de orice nuanţă de violenţă sau acuzaţie. A vorbit la început în limba tibetană, apoi în engleză.

În timp ce vorbeşte, folosind gesturi largi şi convingătoare, îi urmăresc pe cei câţiva refugiaţi tibetani şi pe călugării budişti prezenţi în sală. Mulţi dintre ei îl privesc fără a clipi, cu o extremă seriozitate amestecată cu fericire, alţii cu mâinile unite ca într-o rugăciune.

“Azi sunt doar în trecere la Roma şi am venit să iau un premiu, dar nu vreau să se spună că am venit doar pentru a fi premiat! În Tibet se ştie că am devenit cetăţean de onoare al Romei, ceea ce este un semnal important pentru poporul meu” spune cu ironie şi inteligenţă Dalai Lama în debutul discursului său de mulţumire. Apoi povesteşte de veştile pe care le-a primit din Tibet, unde “situaţia este foarte dramatică, explozivă”.

Aproape o jumătate de oră vorbeşte Dalai Lama şi aminteşte un episod inedit din anii ‘50, când a trăit timp de câteva luni la Beijing şi l-a întâlnit pe Mao Tze Dun. “Dar în Tibet aveţi un drapel?- l-a întrebat liderul comunist pe Dalai Lama. La răspunsul afirmativ al călugărului, Mao a replicat: atunci, puteţi expune steagul vostru, dacă alături îl puneţi şi pe cel roşu al Chinei Comuniste! “Vreau să transmit tibetanilor că, dacă li se interzice să expună steagul nostru, să spună chinezilor că însuşi Mao şi-a dat consimţământul”, a spus celor prezenţi liderul tibetan.

In final, Dalai Lama afirmă celel trei principii pe care le urmează în viaţă: “ Primul obiectiv pe care îl am este acela de a promova valorile umane, un lucru esenţial, de a avea o inimă în familie şi societate(…) al doilea este promovarea întâlnirii dintre religii şi armonia interreligioasă. Pentru aceste două idealuri voi lupta până la moarte. Iar al treilea obiectiv este rezolvarea cauzei Tibetului”.

“Este o emoţie enormă pentru noi, tibetanii, să-l întâlnim pe Dalai Lama”, îmi spune Namgyal Tsewang, tânăr tibetan refugiat în Italia de şapte ani şi care a ascultat cu sufletul la gură fiecare cuvânt al lui Dalai Lama, cu steagul ţării sale strâns în pumni. “Aici, la Roma, ne simţim bine, lucrăm, avem familiile noastre.. dar în inimă avem mereu Tibetul. Situaţia acolo este foarte gravă, din martie 2008 (revolta călugărilor budişti, n.red.). Militarii fac deseori controale în casele noastre. Cine expune un drapel sau poza lui Dalai Lama, este acuzat de separatism şi este arestat pe loc.

În timp ce toţi cei prezenţi se ridică în picioare pentru a saluta pe cel care a devenit un simbol al rezistenţei pacifiste şi care este departe de patria sa de 50 de ani, îmi amintesc cuvintele pe care el însuşi le adresează foarte des celor care îl omagiază : “Sunt doar un simplu călugăr budist”.

Iar de azi, am onoarea să fiu concetăţeana acestui “simplu călugăr budist”!