marți, octombrie 07, 2008

http://www.radio.rai.it/radio1/inviatospeciale/index.cfm

Intervento su TG Radio Rai Uno del 4 ottobre.

duminică, octombrie 05, 2008

PROVO VERGOGNA

MIRCEA CĂRTĂRESCU
PROVO VERGOGNA

Provo una vergogna enorme per tutto ciò che accade in questi giorni in Italia. Quasi fossi io stesso colpevole, tanto del crimine che della repressione. Quasi fossi io l’infame romeno omicida e insieme l’italiano sciovinista e razzista. M’imbarazza che esista qualcosa del genere sulla faccia della terra. Talvolta m’imbarazza enormemente di essere uomo.
Provengo da un popolo povero e scarsamente istruito, vittima di secoli di corruzione e di impostura. Per tutta la vita, ogni giorno della mia esistenza, sono stato afflitto dai miei connazionali, come lo sono anche ora. Mi confronto di continuo con la maleducazione, la rozzezza e l’aggressività di coloro in mezzo a cui vivo, qui a Bucarest, uno dei luoghi più inquinati della Romania sia sul piano fisico che morale. Provo vergogna per l’assenza di valori e di convinzioni su cui fondare il nostro futuro, per il caos politico da cui non riusciamo più a venir fuori. Nonostante ciò, la Romania ha avuto sempre un incontestabile spazio di civiltà europea e, all’interno di esso, la più parte dei miei connazionali è fatta di persone ineccepibili. Tutti gli italiani che hanno compiuto almeno un viaggio in Romania possono confermarlo.
Provo vergogna per quei miei compatrioti che hanno riempito la bella e civile Europa con i loro rifiuti, gli sconci accattoni, le bande di rapinatori, i giri di prostitute, la musica dei lăutarii affamati. Li ho incontrati ovunque, da Stoccolma a Venezia, da Vienna ad Amburgo. Sono dappertutto identici, insistenti come mosche, inventivi e insuperabili, con gli sguardi spietati di chi non ha nulla da perdere. Sempre scacciati e sempre pronti a ritornare a infestare le magnifiche città ricche di statue, basiliche e affreschi, in mezzo a cui si aggirano senza degnarle nemmeno di uno sguardo. Campioni mondiali di sopravvivenza. Di luogo in luogo lasciano la loro atroce impronta sulla pacifica esistenza circostante: uno stupro, una rapina, un delitto. Ogni volta che leggo di un nuovo episodio del genere, accaduto da qualche parte nel mondo, mi vergogno terribilmente d’essere romeno.
Se soffro non poco qui da noi, non soffro però di meno all’estero a seguito delle stigmate per essere romeno. Essere romeno è sempre stata la mia croce, com’è la croce di ogni persona onesta che appartenga a questo popolo. Da diciassette anni, da quando posso viaggiare liberamente - fino ad allora noi tutti siamo rimasti rinchiusi in una sinistra prigione - ho trascorso la quasi metà del tempo in Occidente. Ho imparato solo lì cosa veramente significa, negli occhi altrui, essere romeno. Ho capito com’è vivere essendo osservati da tutti, com’è che proprio tu, a un controllo di frontiera, vieni scelto e ti disfano le valigie, vieni ispezionato dappertutto, umiliato sotto gli sguardi degli altri passeggeri, per il solo fatto che sei romeno. Essere fermato in auto perché hai targa romena. Provare a chiedere a qualcuno dov’è la tal strada e vedere che quello ti scansa perché gli sembri romeno. Non essere pubblicato dagli editori, perché nessuno vuole leggere un libro di uno scrittore romeno. Perché nessuno sa dov’è la Romania, perché a nessuno interessa la storia e la cultura di questo paese che esiste in Occidente solo grazie ai suoi delinquenti, ai bambini di strada e ai cani abbandonati. Voi direte: è vostra la colpa di questo stato di cose. È possibile che sia colpa nostra. Ma ciò non significa che è anche colpa mia.
La prima lezione che abbiamo appreso dalle democrazie occidentali, quando ci siamo messi al loro fianco, è che non esiste reità collettiva. Che in uno stato di diritto nessuno è colpevole per le abiezioni altrui. Che l’atto di associare una razza, una classe, un popolo, le propensioni sessuali e via dicendo a un crimine è un esecrabile principio nazista. Per quanto profondamente addolorata e traumatizzata da un crimine, una società che non sia ipocrita deve accettare che quel trauma le è stato provocato da un individuo, non certo da un’etnia o da un popolo. E che perfino quell’individuo merita di essere trattato da uomo e giudicato in base alle leggi che regolano il vivere civile. Altrimenti si arriva ad Auschwitz e a Guantanamo.
Provo vergogna, dunque, per la reazione degli italiani che nei cortei hanno gridato “Fuori i romeni!”, che hanno imprecato contro il calciatore Mutu per la sola colpa d’essere romeno, che hanno pestato in strada alcuni miei connazionali che non avevano se non la medesima colpa: essere romeni. Provo vergogna per le espulsioni, per le leggi scioviniste che vengono prese nel Parlamento italiano, provo vergogna per l’ondata d’odio che si abbatte sul milione di romeni laboriosi e onesti dell’Italia di oggi che con il loro lavoro portano ricchezza ai due paesi. Non va dimenticato che tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, vecchi e nuovi, devono dimostrare di appartenere all’Europa ogni giorno, mediante il rispetto dei valori europei. Né il crimine, né la violenza, ma neppure l’odio razziale e il nazionalismo fazioso fanno parte di tali valori.
Ma, come dicevo, sentendo le notizie alla radio, leggendole sui giornali o seguendole in televisione provo vergogna, quasi ogni giorno, per il semplice fatto di essere uomo.

(traduzione dall’originale romeno di Bruno Mazzoni)
Articolo apparso sul settimanale „Internazionale” nr. 718 (9-15 novembre 2007), pp. 22-24.