Io e Roma
Un viaggio alla scoperta dell’Io plasmato da una città
Il mese d’ottobre a Roma mi è il più caro periodo dell’anno, ma me ne rendo conto solo quando arriva. Le giornate d’ottobre hanno sempre coronato di fascino la vecchia capitale. Mi ricordo con precisione scolastica e scolaresca, di aver letto più volte, del fascino delle “Ottobrate”. Una passeggiata sul Lungotevere, strisciando con i piedi sul tappeto incredibile di gialli fogli, diventa per me una sorta di viaggio iniziatico, una preparazione per abbandonare l’intelletto e lasciarmi andare, sotto la forza delle emozioni istintive. Il fruscio delle foglie, l’ubriachezza di quel colore giallo oro. Le foglie sembrano riflettere, come dei piccoli specchi, la luce e il calore del sole. Un sole amico, non violento, ma materno… come solo nelle incredibili giornate d’ottobre accade, a Roma. Le sensazioni sono quasi voluttuose. Passano gli anni, ma il ricordo rimane nitido, più dei visi amati, e delle pene d’amore. La prima passeggiata romana, a poche ore dal mio arrivo, in quel giorno d’inizio ottobre. Un caldo e voluttuoso piacere. Tante volte lungo questi anni mi bastava strusciare i fogli autunnali lungo qualsiasi strada per ricordarmi quel momento magico del lungotevere di tanti anni fa, vicino all’Isola Tiberina, lungo il potente muro che proteggeva il fiume. È la mia ricorrenza personale, e la festeggio dentro di me come il ricordo di un incontro antico e immemorabile con una divinità. Ogni immagine, ogni profumo ed ogni suono delle foglie autunnali fanno parte di rituale segreto, la mia festa che ha sempre una nota di melanconica tristezza.
L’autunno romano mi sconvolge e mi trascina ogni volta con la stessa forza: e io vivo la mia vita come una giornata d’autunno piena di sole: il sole splende, ma la luce e il calore mutano insieme ai pensieri e alle circostanze. Come se facessi una lunga passeggiata, all’ombra senti il freddo, ma se cambi il lato della strada ti sciogli sotto il calore piacevolissimo dei raggi.
…Ingannevoli gabbiani ruotano intorno al monumento di Piazza Venezia. Ti guardi sempre intorno cercando in lontananza una spiaggia nascosta. Può darsi siano attratti dal bianco imponente, come quello di un tempio costruito sulla spiaggia, dello stesso colore della sabbia? Forse troppo imponente? Il grido dei gabbiani sembra rendere l’aria romana più umida e salata, quasi ad indurre il passante a pensare a lunghi orizzonti marini.
Roma di sicuro è nata sotto un segno d’acqua: amata dai gabbiani, spruzzata dalle decine di fontane, attraversata dal tranquillo e amato Tevere. Lunghe giornate di pioggia battente ti fanno pensare ogni tanto di vivere in un Regno acquatico tratto da un romanzo di fantascienza.
Io e Roma: come due personaggi di un romanzo senza una fine prevedibile: l’eterna protagonista diventa per me il personaggio secondario, specchio e portatore, involucro delle mie sensazioni, e allo stesso tempo palcoscenico. Ed io, che tante volte mi sento irrecuperabilmente sola ed insignificante, divento protagonista.
Protagonista nei miei pensieri, come le tante volte che vado a spendere qualche ora nella bellissima biblioteca di storia, nel palazzo di Via Caetani… mi è capitato di fermarmi per minuti interi a guardare le decorazioni antiche sui muri, di salire piano le scale, immaginando di fare la stessa …fatica di qualche nobile di secoli fa.
Mi siedo sulla banchina del Lungotevere: gente che passa e pensa a se stessa. Ognuno vede quello che gli piace, e i romani sembrano distratti di fronte all’antica Signora, ignorandola e pensando ai propri affari da sbrigare. I ricchi delle periferie rare volte arrivano al centro… almeno di giorno. La routine registra lunghe file di sagome sulle affollate vie storiche, con gli occhi incollati a delle improbabili vetrine…senza sapere il mondo nascosto a due passi dalle rotte turistiche, l’universo delle piccole stradine labirintiche con palazzi dalle facciate grigie e umide, con i piedi che sentono il terreno cambiare, …i sampietrini.
Bassezze edili, luci sottili, uniformità umane e continua ricerca di personaggi che ti possano accompagnare nel tuo sogno, il sangue coperto delle antiche arene, il fasto singolare e sempre più silenzioso delle cattedrali. Pensieri portati dal vento come fogli autunnali.
“Siamo entrati in un mondo di rituali che ci condizionano la vita” pensò, in un momento d’eterea chiaroveggenza. Tristi e solitari rituali cittadini, per quanto mi concerne, nei limiti concessi da una sempre sospettosa società che mi accoglie con riserva. Sorrido come se avessi fatto una scoperta importante. “La mia vita e condizionata da questi piccoli rituali che mi rendono felice, ma solo momentaneamente. Chi sono e dove vado è deciso da abitudini, più delle volte abitudini che detesto. SONO DIVENTATA UNA PRIGIONERA”.
A due passi dall’Isola, mio sguardo fissa di nuovo l’antica chiesetta di S. Crisostomo. Mi ricorda, per quelli piccoli dettagli, le chiese ortodosse. Quante volte l’avrei guardata, in questi anni, e mi è sempre apparsa come avvolta nel mistero, sempre con i cancelli chiusi. Più volte, da quando vivo a Roma, avevo pensato alla città come un centro della cristianità. La Roma cristiana è separata dalla parte imperiale, e dalla parte romantica. Come se fossero tre regni che si tengono a debita distanza, ognuno con la sua giurisdizione. Tre periodi che mi ricordano stranamente la mia esistenza: le storie d’amore passionali e fugaci, la gloria, il misticismo.
Il ponte di fronte all’Isola Tiberina è lo sfondo per le mie grandi emozioni. Il ponte nella mia vita, fra il vecchio e il nuovo. Eppure vado e vengo sulle due sponde. Difficile separarsi dal passato ed accettare il presente. Tanti rimpianti. Lacrime portate verso il mare dalle onde. Qui, pensavo sul ponte, la perdita dell’identità parte dal nome.
Posso affermare che Roma mi ha rapita, nel vero senso della parola. Né avevo previsto né immaginato che la mia vita sarebbe scorsa per tanto tempo nelle vene di questa città. Anno dopo anno, senza avere la certezza che sarebbe seguito un altro. Io vivo Roma, ma a modo mio. Prendendo quello che mi piace e che gli altri lasciano da parte: la vivo da estraneo e da figlio rinnegato. Perché parte di questa famiglia non mi sono mai sentita.
La mia famiglia…il profumo delle feste e l’entusiasmo di quelli che mi circondano, la folla al supermercato- mi fanno brutalmente a pensare ai miei cari…persi mentre io stavo lontano, e gli accompagnavo solo con i pensieri e con le lacrime. Genitori che invecchiano, guardandomi nelle foto di circostanza, pensieri di giorni interi inchiodati in pochi minuti al telefono.
Forse sono fra i pochi stranieri, che pur avendo la nostalgia di casa, non vorrebbero mai ritornare a vivere nel loro paese. Tagliato il passato, difficile il presente, incerto il futuro. Ma l’incertezza per me è fonte di novità, è un cauto ottimismo, è uno stimolo per guardarmi intorno e apprezzare quello che ho già. “Sii felice qua”, mi diceva una cara persona, “guarda alla storia che ti trovi intorno…chi non sarebbe felice a vivere questa città. Trova i tuoi luoghi, i tuoi punti di riferimento e diventa cosciente di quello che vivi”.
Speranze, delusioni, e di nuovo speranze. Solitudine, ricordi e momenti di gioia.
Il mio respiro scandisce il tempo nella Città Eterna. E in questo momento sento che, facendo mio il ricordo, una parte di Roma è mia e vivrà per sempre in me.